Departures è un film del 2008 diretto da Yojiro Takita. Il violoncellista Daigo Kobayashi si trova improvvisamente disoccupato in seguito allo scioglimento dell’orchestra nella quale suonava da anni. Per motivi economici decide allora di lasciare Tokyo e tornare con la moglie Mika nel suo paese natale, la prefettura di Yamagata. In cerca di un lavoro, Daigo si imbatte in un annuncio che cattura la sua attenzione e si reca così per un colloquio all’agenzia NK. Solo durante il colloquio Daigo scopre con grande stupore che l’agenzia non si occupa di viaggi, bensì delle tradizionali cerimonie giapponesi di preparazione e vestizione dei defunti di fronte al resto della famiglia. Daigo, un po’ spaesato ma spinto dal bisogno economico, accetta il lavoro e viene assunto come tanatoesteta e assistente. Dopo un inizio turbolento Daigo inizia non solo ad apprendere il mestiere, ma anche a capire il significato e la profondità dei singoli gesti cerimoniali. Quei gesti rituali, effettuati “con calma, con precisione e grande amorevolezza” diventano occasione di riconciliazione dei sopravvissuti con la persona deceduta. È Daigo a trasmettere la pace, a portare a raccoglimento e compassione parenti talvolta rancorosi o distratti, senza mai dover spiegare o ammonire, ma semplicemente attraverso il suo atteggiamento rispettoso a fare di ogni cerimonia un atto d’amore. Il rito di cerimonia funebre diventa quindi il mezzo per restituire la bellezza dei viventi al defunto, per ricongiungere vivi e morti, per ricreare una vicinanza. Viene restituita anche dignità al defunto, dignità che la morte, con i segni del deterioramento fisico, aveva parzialmente privato.
Il tema della morte viene trattato attraverso diversi punti di vista, ad esempio dal punto di vista pratico, dove la morte è risorsa economica, è lavoro; oppure dal punto di vista naturale, come il normale ciclo di vita degli esseri viventi, ad esempio nelle scene dei pasti, consumati in modo crudo, quasi violento “gli esseri vivi mangiano esseri morti per vivere“; dal punto di vista sociale e culturale, dove avere a che fare con la morte è sconveniente e motivo di vergogna, un segreto che va nascosto a familiari ed amici. La morte però è vista anche come momento ultimo del nostro amore per chi non sarà più presente nella nostra vita, un momento in cui esprimere gratitudine per quello che la persona ci ha dato, momento di intensa e profonda vicinanza, di commozione, di condivisione della natura umana.
Elemento altrettanto dominante nel film è quello dello stigma sociale. La stigmatizzazione è il fenomeno sociale che attribuisce una connotazione negativa a un membro o a un gruppo della comunità in modo da declassarlo a un livello inferiore. La parola stigma viene usata come sinonimo di marchio, segno distintivo, in riferimento alla disapprovazione sociale di alcune caratteristiche personali. Il protagonista infatti si trova costretto a nascondere la natura del suo lavoro a moglie ed amici e viene escluso da alcune relazioni sociali. Viene visto come sconveniente e motivo di vergogna trattare con qualcuno che ha a che fare con la morte. Daigo viene anche appellato come “sporco immondo” dalla moglie prima del suo temporaneo abbandono. Anche a livello sociale il lavoro del protagonista viene visto come inferiore e umiliante, tant’è che durante una delle cerimonie in una lite tra i familiari della defunta, verrà citato Daigo e il suo lavoro come esempio di punizione e modo in cui espiare le proprie colpe. C’è però una netta distinzione tra dimensione sociale ed interpersonale: la professione e la condizione di Daigo vengono, dopo aver fatto esperienza concreta dell’effettiva sostanza del lavoro e della passione del protagonista, risanate e anzi divengono motivo di rispetto e riverenza. Ciò sottolinea la natura pregiudizievole di una società che non conoscendo, etichetta frettolosamente ed erratamente.
Terza e ultima colonna della pellicola è il tema dell’abbandono del padre. Daigo durante la vicenda manifesta dolore e rabbia verso quella figura che gli ha trasmesso grandi insegnamenti, l’amore per la musica e successivamente l’ha abbandonato per un’altra donna. Dolore che parzialmente ha rimosso, ad esempio con il non ricordare il viso del padre, che ritorna nitido e dai connotati definiti solo una volta che il dolore viene rielaborato. L’episodio della morte del padre e il cammino che Daigo ha fatto grazie alla professione nella comprensione dell’amore e della morte, renderanno possibile la riconciliazione tra padre e figlio e daranno la pace al protagonista, rendendolo finalmente libero dalle catene del rancore. La noncuranza e l’approssimazione degli addetti dell’agenzia funebre ridestano in Daigo affetto e desiderio di protezione nei confronti del vecchio padre. Durante la cerimonia l’episodio del sasso fa capire al giovane che il padre non l’aveva dimenticato, ma che in punto di morte aveva voluto vicino a sè ciò che aveva di più caro ossia un suo cimelio, una testimonianza del loro autentico legame.